Le zone umide costituiscono ambienti con elevata diversità ecologica, notevole produttività, caratterizzati da una considerevole fragilità ambientale e dalla presenza di specie ed habitat che risultano fra quelli maggiormente minacciati a livello globale. Oltre ad essere dei serbatoi di biodiversità, questi ambienti forniscono un'elevata quantità di servizi ecosistemici, quali la fitodepurazione, la regolazione dei fenomeni idrogeologici, la fissazione del carbonio presente nella biosfera, con conseguente mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici. Le zone umide sono un elemento chiave all’interno del ciclo dell’acqua e svolgono un ruolo di collegamento ecologico di importanza centrale. La loro tutela e il loro ripristino sono considerate un’importante Nature Based Solution in quanto permettono di contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici poichè riescono a catturare il carbonio presente in atmosfera fino a 10 volte di più delle foreste, a parità di superficie (Global Biodiversity Outlook 2021).
Dal Report Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES) del 2019 emerge che le zone umide sono fra gli ecosistemi maggiormente sottoposti agli impatti dei cambiamenti climatici, dei cambiamenti dell’uso del suolo e delle risorse naturali, dell’inquinamento dell’acqua, del suolo e dell’aria e dall’invasione delle specie aliene. In particolare sono minacciati dalla drastica diminuzione delle risorse idriche che hanno determinato la scomparsa negli ultimi 50 anni del 35 % delle zone umide a livello globale e del 48% a livello del Mediterraneo (Mediterranean Wetland Outlook 2). Le popolazioni di specie di vertebrati d'acqua dolce sono diminuite a livello globale a un tasso più del doppio rispetto a quello dei vertebrati terrestri o marini. Molti ecosistemi delle acque interne e costieri sono minacciati dall'eutrofizzazione a causa del dilavamento eccessivo di suolo e nutrienti dalle aree terrestri, in particolare dalle aree agricole e dagli ecosistemi degradati (Global Biodiversity Outlook 2020 e 2021). A livello mediterraneo, per molti fiumi, il flusso d'acqua è diminuito dal 25% al 70% tra il 1960 e il 2000. Si prevede pertanto che il cambiamento climatico aggraverà ulteriormente l’effetto di altre minacce ovvero, quelle derivanti dall’agricoltura intensiva (che utilizza circa un terzo delle 2/3 risorse di acqua dolce nel Mediterraneo), dall’urbanizzazione (oltre il 42% della popolazione che vive lungo la costa), dall’industria e dal turismo, che determinano una trasformazione del territorio e l’aumento della domanda di acqua.
I dati del monitoraggio delle specie e degli habitat legati agli ecosistemi acquatici che emergono dai Report delle Direttive Habitat e Uccelli, indicano che la biodiversità legata agli ecosistemi acquatici è in gran parte in uno stato di conservazione cattivo o inadeguato a causa delle minacce individuate anche a livello globale. In particolare gli habitat legati agli ecosistemi acquatici (vedi Rapporti ISPRA 107/2010 e 153/2011) presenti nelle regioni biogeografiche continentale e alpina, presentano tutti in uno stato di conservazione cattivo o inadeguato ( vedi link1, link2)
Appare quindi urgente attuare azioni di tutela delle risorse idriche e degli ecosistemi acquatici ad esse associati, fra cui l’integrazione degli obiettivi di tutela e di gestione previsti alla scala di distretto idrografico con quelli previsti dai piani di gestione e le misure di conservazione di Siti Natura 2000, Aree protette e Zone Ramsar, in base alle "LINEE GUIDA PER L’INDICAZIONE DI OBIETTIVI SPECIFICI PER I CORPI IDRICI RICADENTI NELLE AREE PROTETTE NATURALI" definiti dal MiTE in collaborazione con ISPRA , l’attuazione della Strategia sulla Biodiversità europea al 2030. In particolare questa importante strategia prevede: l’incremento della tutela delle aree e di corridoi ecologici importanti per la biodiversità fino a raggiungere il 30 % del territorio protetto, di cui un terzo sottoposto ad una protezione rigorosa; il ripristino delle connessione degli ecosistemi acquatici per 25.000 km di fiumi, il raggiungimento di almeno il 30% delle specie e degli habitat in uno stato di conservazione favorevole; l’incremento dell’agricoltura biologica fino al 25% del territorio nazionale e la riduzione del 50% dei prodotti fitosanitari, in particolare di quelli pericolosi per la biodiversità, e la riduzione del 50% della perdita di nutrienti derivanti dai fertilizzanti, l’adozione di metodi agricoli propri dell’agroecologia (vedi link)).
I prodotti fitosanitari possono essere tossici per le specie selvatiche sia per esposizione diretta, sia per alterazione dell'habitat, delle funzioni vitali, metaboliche e delle catene alimentare, derivanti in particolare dalla diminuzione delle prede e dall’effetto del bioaccumulo. Le specie e gli habitat più sensibili sono legati prevalentemente agli ecosistemi acquatici, presentano una scarsa distribuzione ed un cattivo stato di conservazione (Rapporti ISPRA 216/2015, 330/2020). Pertanto il Piano d’Azione Nazionale (PAN, DM 22/01/2014) che stabilisce un quadro di azione per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari per la tutela della salute umana, ambiente e biodiversità (in base alla dir. 2009/128/CE e Dlgs. 150/2012), prevede misure per la tutela degli ecosistemi acquatici e per la biodiversità nei Siti Natura 2000 (SIC/ZSC e ZPS), nelle aree protette e nelle Zone Ramsar che prevedono in particolare la conversione delle pratiche agricole nella direzione dell’agricoltura biologica, come indicato nel DM 10/3/2015 (vedi link)
Le emergenze ribadite anche dal Piano Strategico della Convenzione di Ramsar per il periodo 2016-2024 (www.ramsar.org) sono il recupero delle zone umide degradate in particolare di torbiere e piccole zone umide maggiormente sottoposte ai cambiamenti climatici, la conversione dell’agricoltura verso la sostenibilità, la valutazione dei servizi ecosistemici delle zone umide, l’aggiornamento degli inventari delle zone umide ed il loro monitoraggio per valutare gli effetti dei cambiamenti climatici e delle attività quali l’agricoltura intensiva e la perdita e degrado degli habitat.
ISPRA (Servizio Aree Protette e Pianificazione territoriale), in collaborazione con l‘ex Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e l'ARPA Toscana, ha realizzato insieme a 15 Regioni, 2 Province, 15 ARPA, e ad altri enti e associazioni che hanno partecipato al Tavolo tecnico sulle zone umide, dal 2008 al 2011 un inventario di questi ambienti, secondo il metodo del «Pan Mediterranean Wetland Inventory » (PMWI) di MedWet e le linee guida per la loro tutela. Al Tavolo tecnico hanno aderito 15 Regioni, 2 Province, 15 ARPA, 9 Autorità di Bacino, il Corpo Forestale dello Stato, 3 Parchi Nazionali, 9 Aree Protette Regionali, Federparchi - Coordinamento Parchi Fluviali, Agenzia Regionale Parchi Lazio, l'Istituto Superiore della Sanità, l'ENEA (Centro Ricerche Saluggia e Casaccia), il CRA-FLP, il Centro di Ecologia Fluviale, ONG (WWF, Legambiente e LIPU), ricercatori e professori delle Università di Urbino "Carlo Bò", di Roma "La Sapienza", di Viterbo "La Tuscia", Roma "Tre" e L'Aquila. I risultati finora emersi dal progetto sono sintetizzati nelle pagine di questo sito, dove potranno essere effettuate le ricerche delle aree di interesse (Ricerca zone umide, Ricerca Ramsar), visualizzando i dati contenuti nelle schede del PMWI o accedendo ai dati georiferiti (Geoviewer), seguendo le apposite istruzioni. Le zone umide che sono state inventariate nel PMWI sono in totale 1520, di cui 1162 forniti direttamente dalle 13 Regioni (Sardegna, Sicilia, Puglia, Basilicata, Abruzzo, Molise, Lazio, Umbria, Marche, Toscana, Emilia Romagna, Piemonte e Friuli Venezia Giulia) e dalla Provincia Autonoma di Bolzano (aggiornamento: gennaio 2012), e 358 delle restanti Regioni, tratti principalmente dall'inventario realizzato dall'Università di Ferrara (Prof. Piccoli) nel 2003 per conto del MATTM. La Regione Piemonte ha messo a disposizione i dati del proprio inventario realizzato con metodi diversi da quelli utilizzati per le altre Regioni che sono comunque stati inclusi nel geodatabase disponibile su questo sito. I dati emersi dall’inventario sono sintetizzati nel Rapporto ISPRA 153/11. L’ultimo aggiornamento dell’inventario è relativo al 2016.
Per maggiori informazioni sulle attività di ISPRA scrivere a:
zoneumide@isprambiente.it