Molte città italiane sono interessate da fenomeni di sprofondamento del suolo indotti dalle attività umane (chiamati più semplicemente voragini o più propriamente anthropogenic sinkholes). L’apertura di tali sprofondamenti, sinkholes o voragini, nelle grandi aree metropolitane ma anche negli altri centri abitati o in frazioni rurali è certamente uno dei pericoli naturali che maggiormente colpiscono il territorio urbano. Negli ultimi 20 anni è stato registrato un massiccio aumento dei casi di sprofondamento del suolo. I sinkholes antropogenici, di dimensioni metriche, sono dovuti nella maggior parte dei casi al collasso di cavità artificiali presenti nel sottosuolo e/o alle disfunzioni nella rete di sottoservizi. Essi si concentrano nelle aree dove l’urbanizzazione è stata più massiccia e dove si sono sviluppate nei secoli pratiche di escavazione del sottosuolo per diversi scopi. Tali fenomeni pongono seri problemi di salvaguardia del territorio e recentemente sono stati più volte all’attenzione dell’opinione pubblica. Basta ricordare, in tal senso, gli eventi degli ultimi anni a Roma o a Napoli. Il quadro conoscitivo di cui si dispone oggi, ricavato da un censimento di segnalazioni di eventi nei capoluoghi di Provincia (tratti dai quotidiani locali, dal web, da relazioni tecniche o da segnalazioni di privati cittadini), seppur non esaustivo, delinea le aree urbane italiane a maggior rischio di sinkholes. Il sottosuolo delle città italiane è ricco di cavità artificiali, scavate a vario titolo ma, principalmente, per l’estrazione di rocce utilizzate nell’edilizia. Le cavità sotterranee rappresentano una peculiarità di alcuni contesti territoriali urbani e, tuttavia, ne costituiscono anche un’emergenza, associata all’instabilità degli ambienti di vuoto sotterraneo che possono avere ripercussioni sul soprassuolo. Il sottosuolo veniva sfruttato anticamente mediante la realizzazione di gallerie, al piede di scarpate, realizzate a mano, con il sistema di camere e pilastri, che dava origine a una rete di cunicoli a maglia quadrata o rettangolare. L’estrazione di rocce piroclastiche per l’edilizia, quali i tufi e le pozzolane, è stata diffusa in molte regioni italiane sin dall’epoca preromana ma era sviluppata soprattutto nel Lazio ed in Campania dove gli affioramenti di tali rocce erano diffusi nel territorio. L’estrazione di inerti per i calcestruzzi, di sabbie e ghiaie per vari usi, ha prevalso in Abruzzo, nel Lazio e in Puglia. Calcari e calcareniti sono stati estratti sin da tempi preistorici in Puglia, Sicilia e Lombardia. Altre grandi cavità nel sottosuolo sono state realizzate per l’estrazione di minerali (gessi, sale, argento, pirite, oro ed altri metalli, carbone), prevalentemente in Calabria, Lombardia, Toscana, Sardegna Sicilia e Trentino Alto Adige. Di tali reti caveali, che costituiscono le città sotterranee sotto le nostre città, si è persa memoria, ovvero non se ne conosce l’effettiva estensione. Le ricostruzioni operate negli ultimi anni sono solo parziali e frammentarie. Le cave in sotterraneo dopo l’abbandono possono essere molto pericolose. Generalmente i normali processi geomorfologici portano a differenti meccanismi di collasso, quali: crolli di volta, franamento delle pareti e rottura dei pilastri. Questi ultimi venivano spesso, al termine del periodo di maggior sfruttamento, assottigliati per sfruttarli al massimo e ridotti al limite delle sezioni ritenute accettabili per i criteri di coltivazione dell’epoca. Le conseguenze del cedimento di un pilastro possono essere rilevanti e innescare un crollo delle volte adiacenti con risentimenti rilevanti anche in superficie e sulle costruzioni eventualmente presenti. Gallerie sotterranee sono state realizzate anche per altri utilizzi, quali idraulico, religioso, bellico, ecc. Un’intricata rete caveale è stata realizzata al di sotto di molti centri urbani per la costruzione di cisterne, serbatoi, cunicoli idraulici o per luoghi di culto sotterranei, rifugi di pastori e di bestiame. Non meno diffusa è risultata la pratica antica di realizzare grotte, utilizzate dapprima come rifugi di pastori e bestiame e, successivamente, come cantine e depositi (Abruzzo, Marche, Basilicata, Puglia e Lazio). Il Friuli Venezia Giulia, in particolare nella città di Trieste, è caratterizzato dalla presenza di da cospicuo sviluppo di cavità antropiche per manufatti bellici (gallerie di ricovero antiaereo per la popolazione civile, gallerie di ricovero antiaereo per militari, depositi di acqua per la protezione antincendio). Negli ultimi cinquanta anni è stato registrato un fitto incremento dei sinkholes antropogenici nelle città italiane. Le regioni maggiormente interessate dal fenomeno sono il Lazio, la Campania, la Sicilia e la Sardegna. Nella tabella del file allegato si mostrano i risultati registrati nelle varie regioni italiane, considerando solo gli eventi che hanno interessato i capoluoghi di Provincia. Il censimento compiuto mostra che il fenomeno è molto diffuso nelle grandi città: Roma è la città che conta più sinkholes antropogenici seguita da Napoli, Cagliari e Palermo. Per tali città è stato compiuto uno studio di dettaglio storico di cui si dirà nel seguito. Nell’ultimo decennio è aumentato poi fortemente il numero delle voragini in altre grandi aree metropolitane in cui non si registravano eventi. Le regioni del centro e del sud mostrano dati equiparabili mentre il fenomeno risulta molto meno diffuso nelle città del nord. Per poter confrontare i dati tra le città italiane si è scelto l’intervallo di tempo dal 1960 a settembre 2018: gli eventi dal 1960 sono 1.313 solo a Roma, 562 a Napoli,150 a Cagliari, 72 casi a Palermo. Circa 1.500 eventi vengono registrati nelle altre città capoluogo di Provincia, inoltre alcune centinaia di fenomeni si registrano nei piccoli e medi centri urbani